di Alfredo Comito – Milano 6 dicembre 2024
25 ARRESTI NEL BRESCIANO, PERQUISIZIONI NELLE PROVINCIE DI BRESCIA, MILANO, COMO, LECCO, VARESE, VERONA, VITERBO, TREVISO E REGGIO CALABRIA, SEQUESTRO DI BENI PER 1.8 MILIONI DI EURO, IN RELAZIONE A REATI DI ESTORSIONE, TRAFFICO D’ARMI, RICETTAZIONE, USURA, RICICLAGGIO E SCAMBIO ELETTORALE POLITICO-MAFIOSO.
Il nord nelle mani delle ‘ndrine
I protagonisti della vasta operazione coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia sono diversi affiliati alla ‘ndrangheta e alcuni personaggi della politica, della società e del mondo imprenditoriale lombardo.
Tra gli arresti spiccano i nomi di Giovanni Acri, ex consigliere comunale di Brescia per Fratelli d’Italia e Mauro Galeazzi, ex assessore comunale della Lega nel comune di Castel Mella. Il primo, il medico Giovanni Acri, è accusato di concorso in associazione mafiosa in quanto avrebbe prestato “soccorso e cure mediche” a uomini del clan Tripodi che erano rimasti feriti durante una rapina a un furgone portavalori.
Il secondo, l’ex assessore della Lega Mauro Galeazzi, perché, candidatosi sindaco alle elezioni comunali di Castel Mella del 2021, si sarebbe rivolto al capo locale della ‘ndrangheta Tripodi per “procurargli voti in cambio dell’ottenimento di appalti pubblici”.
Insieme ad Acri e Galeazzi, risultano arrestate altre 23 persone tra cui tre fratelli imprenditori della provincia di Lecco, Daniele, Alessandro e Roberto Castelnuovo, per fatture false con imprese riferibili a persone della ‘ndrangheta. Secondo l’autorità giudiziaria, Alessandro Castelnuovo in qualità di amministratore di diritto della Nickel Steel Ecology, azienda che commercia in rottami ferrosi con sede a Cassago Brianza, si sarebbe rivolto alle ‘ndrine per “finalità lucrative” attraverso un giro di fatture false.
Secondo il pm di Brescia Teodoro Catananti, gli indagati avrebbero aiutato la cosca Tripodi a “conseguire vantaggi patrimoniali illeciti” e a “mantenere e rafforzare la capacità operativa del sodalizio e la fama criminale del gruppo criminoso”.
2020 inizio delle indagini
Le indagini della DDA partono da lontano, dal 2020 quando, per seguire gli interessi della cosca Alvaro (di Sant’Eufemia d’Aspromonte) nel nord Italia, giunsero a Flero, in provincia di Brescia, davanti a una officina frequentata dai membri della cosca, la Stefan Metalli, a capo della quale risultavano essere Stefano e Francesco Tripodi, padre e figlio, originari di Vibo Valentia.
Da Sant’Eufemia di Aspromonte a Vibo Valentia ci sono circa 70 chilometri. Si scende giù dall’Aspromonte, si attraversano distese di ulivi e si raggiunge una terrazza rocciosa che si affaccia sul mare Tirreno. A Flero, invece, bastavano pochi passi e ci si trovava tutti nell’officina dei Tripodi.
Non certo per sfasciare auto, né per bersi un bicchiere di zibibbo in cui annegare il rimpianto della soppressata e delle olive schiacciate piccanti, bensì per parlare di cose nostre, o meglio loro e della comunità che li fiancheggiava in affari illeciti. Riciclaggio, estorsioni, traffico di armi, usura, ricettazione e voto di scambio alle elezioni per aiutare gli amici che poi ricambieranno.
Microspie e telecamere consentono ai magistrati di raccogliere numerose prove di reato e di mettere a fuoco una fitta serie di relazioni con le ‘ndrine e che coinvolgono imprenditori, professionisti, e perfino una suora. Nata a Cremona, residente a Milano, suor Anna è volontaria nelle carceri bresciane e a San Vittore per offrire assistenza spirituale e, secondo gli inquirenti, avrebbe avuto e fornito agli indagati “informazioni utili” a danno delle azioni investigative.
“Lei è una di noi” esclamava Stefano Tripodi, ignaro d’essere ascoltato e registrato, soddisfatto della capacità di penetrare le strutture carcerarie e di poter informare i detenuti.
Un potere crescente quello del capo locale bresciano Tripodi che, come nel film Quei bravi ragazzi di Scorsese, faceva soldi a palate emettendo fatture a imprese compiacenti per operazioni insistenti per un valore di circa 12 milioni di euro, consentendo agli amici imprenditori di abbattere il reddito ai fini fiscali.
Secondo il pm Teodoro Catananti, “è inquietante l’autorità del sodalizio criminale rispetto alla collettività civile”. “I politici locali” rimarca il pm, “riconoscevano nel gruppo dei Tripodi l’autorità. Una sorta di para Stato”.
Del resto, come ricorda l’ex procuratore di Catanzaro, oggi di Napoli, Nicola Gratteri, oggi è la politica e il mondo imprenditoriale a cercare i mafiosi, perché hanno potere economico e contatti capaci di produrre grandi vantaggi, siano essi elettorali o finanziari. Le mafie fatturano oltre 100 miliardi l’anno e, come dichiarò Borsellino in una intervista resa pochi giorni prima di essere ucciso, la mafia cerca “il naturale sbocco economico” per questi capitali.
Tempo a scadenza per la Giustizia
L’indagine della DDA di Brescia, durata quattro anni, dimostra quanto diceva Borsellino e quanto sostiene Gratteri, e dimostra come le mafie siano intrecciate alla politica e facciano ormai parte del tessuto economico e sociale dell’intero Paese, dal nord al sud, finito ancor più nelle mani delle ‘ndrine dopo la crisi economica del 2008.
Ma questa indagine ci dice qualcos’altro. Ci fa intendere quanto tempo sia necessario per collegare i fili delle relazioni criminali, quanta pazienza e studio sia essenziale per mettere insieme i pezzi del puzzle e raccogliere le prove dei reati commessi.
Ma come sarebbe andata se i pm avessero avuto solo 45 giorni a disposizione per le intercettazioni? Domanda lecita alla luce delle ultime proposte del Ministro della Giustizia.
In tempi nei quali le mafie hanno a loro disposizione professionisti informatici che consentono operazioni di grande portata sul web sommerso (dark web), la riforma che il governo Meloni vuole realizzare riduce gli strumenti dei pm anziché fornirne di più efficaci per combattere adeguatamente le mafie come chiede Nicola Gratteri.
Ora non resta che attendere lo sviluppo delle indagini e capire se l’eventuale processo riuscirà a concludersi nei tempi previsti dalla precedente riforma della giustizia del Governo Draghi, altra perla secondo Gratteri, che limita a due anni il tempo per la conclusione del possibile processo in Appello e poi in Cassazione in caso di condanna in primo grado. Un tempo a scadenza per la giustizia, corto come un mozzicone di candela per tirare tutta la notte. Se tutto andrà bene insomma, o male, dipende dai punti di vista, gli indagati che eventualmente finiranno a processo, potrebbero anche uscirne indenni per prescrizione dei termini. Come diceva Arbore nella pubblicità di una nota marca di birra, “meditate gente, meditate”.