I SOCIALISTI E LA GUERRA

Il socialismo, mondiale e italiano, è nato all’insegna del ripudio della
guerra e della cultura della guerra. Le sue date simbolo sono state il primo
maggio ( data della repressione sanguinosa di uno sciopero) e, per quanto
riguarda il parallelo processo di emancipazione femminile, la morte di
oltre cento lavoratrici tessili chiuse, durante una serrata padronale, in un
opificio poi divenuto preda delle fiamme.
Si ricorda una tragedia sognando un mondo in questa non abbia a
ripetersi mai più. E, per altro verso, si afferma il legame inscindibile tra
socialismo e pace per opporsi con sempre maggiore efficacia ai ripetuti
tentativi del Potere di dividerlo e ricacciarlo indietro con la violenza e la
guerra.
Nell’esperienza italiana dietro ad ognuna di queste parole c’è un’immagine
concreta. Un’esperienza di vita vissuta. Una manifestazione pacifica o un
eccidio proletario. Un imponibile di mano d’opera accettato o respinto. Il
successo o il fallimento di uno sciopero. L’unione che porta con sé la libertà
oppure la divisione foriera di sconfitta e di regressione. Lo sciopero per
ottenere o quello per dimostrare.
E, come riflesso di queste esperienze, una sensibilità acutissima al
mutamento del clima. Che porterà il socialismo italiano a cogliere prima di
molti altri, dei seguaci di Bernstein come di quelli di Kautsky, i segni
premonitori della tempesta che si avvicinava. Così da separarsi , in
occasione della guerra di Libia, dai Bonomi e dai Bissolati che ritenevano
che la missione del partito socialista non avesse più ragion d’essere. Così
come, nel dopoguerra, da quanti sognavano di fare come in Russia in un
contesto in cui le possibilità di successo di un movimento rivoluzionario
erano pari a zero e il consenso per lo squadrismo fascista cresceva giorno
dopo giorno. In un contesto in cui appariva ben chiara una cosa che, a ben
vedere, non era affatto scontata. E cioè il fatto che la cultura della guerra
non era una conseguenza bensì una premessa per l’esplosione del conflitto
vero e proprio e per il consenso iniziale da cui sarebbe stato
accompagnato.
Un dato centrale, quest’ultimo, per capire la realtà di oggi. Dove, almeno,
nella vecchia Europa e negli stessi Stati Uniti, nessuno vuole essere
coinvolto direttamente in una guerra ma tutti ( o quasi) usano la cultura

della guerra non solo per perpetuare i conflitti in corso o alimentare
surrettiziamente nuovi razzismi ma anche per costruire schieramenti e
coprire subalternità ( Nato, europeismo, atlantismo) o, come in Italia ma
non solo, per finalità di politica interna. Con l’obbiettivo di ridurre, in una
regressione ormai senza limiti, i diritti collettivi e gli spazi stessi della
democrazia; magari rendendoli inutili agli occhi stessi di chi intenda
esercitarli.
In questo universo immaginato e immaginario, la stessa politica non è
altro che una guerra condotta con altri mezzi e la moneta cattiva caccia
invariabilmente la buona. Con la prevalenza pressoché automatica della
menzogna sulla verità, dei commenti sulle notizie e delle veline sulle
inchieste; e, in un quadro più ampio, delle contrapposizioni sul dialogo, del
privato sul pubblico, dell’individuo sulla collettività, dell’egoismo sulla
solidarietà , della paura sulla speranza e del razzismo più bieco sulla
conoscenza dell’Altro. Mentre il Progresso è servito in piccolissimi
bicchierini di carta mentre la Regressione non sembra conoscere limiti.
Come reagire ? Come abbiamo brevemente ricordato, i socialisti di una
volta e non solo in Italia avrebbero avvertito da subito l’avvicinarsi della
tempesta, dal Kosovo alle guerre per la democrazia che hanno segnato, da
subito, il nuovo secolo. Ma i loro mediocri epigoni, nella convinzione che il
mondo nato dopo il I989 fosse il migliore dei mondi possibili e il legame
tra capitalismo e democrazia acquisito una volta per sempre, hanno
seguito passivamente la corrente fino a essere incapaci di tornare a riva.
Eccoli allora a esaltare la guerra in Ucraina come guerra per la democrazia.
E a solidarizzare con Israele come proiezione dell’occidente contro la
barbarie antisemita. Salvo a chiedere, quando la situazione sta
precipitando, di non andare troppo oltre.
In questo quadro, e questa è l’unica conclusione possibile, qualsiasi
recupero concreto del grande messaggio del passato è esistenzialmente
legato alla centralità dell’impegno per la pace. Prima ma soprattutto dopo
l’appuntamento del prossimo mese di giugno. Un impegno che si incarna
nella lista Pace, terra e dignità, con l’immagine della colomba.