di Luigi Esposto – 25 dicembre 2024
La Convenzione ONU del 1948 stabilisce che «Per genocidio s’intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».
Accusato nuovamente di violare tale Convenzione, a fine Gennaio 2024, Israele viene portato davanti alla Corte di Giustizia internazionale, per le azioni messe in campo nella Striscia di Gaza a partire dal 7 Ottobre 2023, a seguito degli attacchi terroristici di Hamas nei kibbuts israeliani, in nome di un “diritto all’autodifesa” che Israele continua a rivendicare, contro il parere negativo della stessa Corte – espresso già nel 2004 e ribadito nel 2024 – e che non può essere esercitato all’interno di un territorio occupato, peraltro contro la Carta delle Nazioni Unite ed il diritto internazionale.
La distruzione e la sofferenza, inflitte alla popolazione palestinese, non risalgono, invero, ad ottobre 2023, ma a decenni di occupazione attraverso la quale quasi tutti i governi israeliani, succedutisi negli ultimi 78 anni di storia trascorsi dalla fine dell’Olocausto, hanno sottratto impunemente terre ed abitazioni alla popolazione, uccidendo adulti e bambini, con il progetto di matrice coloniale di liberazione della cosiddetta “Terra Santa” dalla presenza degli “amalechiti”.
Diverse, numerose e crescenti sono le prove provenienti da più fonti, fornite da organizzazioni internazionali, impegnate da anni nella difesa dei diritti umanitari nel mondo e portate alla luce dalle voci autorevoli di esperti del mondo diplomatico ed accademico, di livello internazionale, la cui conoscenza porta a non avere più alcun dubbio sul fatto che la massiccia e devastante azione militare, commissionata dal governo Netanyahu alle Forze di Difesa israeliane (Idf), possa considerarsi “GENOCIDIO”.
Poco meno di due mesi fa, il centro di ricerca FORENSIC ARCHITECTURE dell’Università di Londra, specializzato nelle indagini forensi e considerato una delle voci più autorevoli nel campo della raccolta dei dati che evidenziano la violazione dei diritti umani e del diritto internazionale, ha pubblicato uno dei suoi progetti più ampi: “A Cartography of Genocide”, accompagnato da un report di oltre 800 pagine, che è una mappa interattiva che ripercorre la storia di tutti gli attacchi armati, condotti da Israele nella Striscia di Gaza a partire da ottobre 2023, con l’obiettivo di ricostruirne la portata e individuarne i “pattern” più significativi.
I risultati della ricerca – che attualmente è la più precisa ricostruzione storica della guerra intensificatasi dal 7 ottobre e del genocidio ancora in corso – mostrano che «la condotta militare di Israele a Gaza indica una campagna sistematica ed organizzata per distruggere la vita, le condizioni necessarie alla vita e le infrastrutture che la sostengono».
A “Cartography of Genocide” è un progetto di ricerca basato sull’analisi di diverse fonti, in particolare di fonti aperte, disponibili online, quali video ed immagini postate sui social media, tramite le cosiddette tecniche di open source investigation. Trattasi di un progetto basato sulle testimonianze raccolte sul campo, sui dati e sulle analisi dei dati, messe a disposizione da organizzazioni internazionali.
Come importante supporto alla ricerca sono state utilizzate anche numerose immagini satellitari.
Il team di ricerca del Forensic Architecture ha così potuto mappare 1926 eventi ed attacchi, individuando una correlazione tra loro, al fine di farne emergerne i pattern comuni in diverse aree tematiche, come la distruzione delle infrastrutture vitali, gli attacchi alle strutture sanitarie, l’impedimento degli aiuti umanitari, lo spostamento forzato della popolazione civile e la distruzione del territorio.
Tale progetto è nato anche per la necessità di sopperire alla chiusura di Gaza, imposta da Israele alla stampa internazionale ed al progressivo e sanguinoso silenziamento del giornalismo gazawo; 137 è il numero – aggiornato al 12 novembre 2024 – dei giornalisti uccisi dall’inizio della guerra.
Nel rapporto molto dettagliato si legge di attacchi sferrati sulle panetterie del Nord di Gaza, affollate durante le prime settimane di guerra da file molto lunghe di persone, lì concentratesi in cerca di un tozzo di pane; di bombardamenti imboscata diretti alle “humaritarian zone” verso le quali la popolazione era stata fatta precedentemente evacuare per ragioni di «sicurezza».
«Perché quando ci sono così tanti attacchi contro gli aiuti umanitari e la distribuzione di cibo, ed al contempo viene distrutto il 70% dei campi agricoli della Striscia di Gaza, si sta chiaramente ingegnerizzando la fame», dichiara Davide Piscitelli, uno degli autori del progetto.
Anche FRANCESCA ALBANESE, relatrice speciale dell’ONU sui territori palestinesi occupati dal 1967, nei suoi ultimi rapporti mostrati all’Assemblea Generale parla della volontà del governo Netanyahu di distruggere il popolo palestinese, come gruppo in quanto tale.
«L’occupazione, che la Corte internazionale ha dichiarato illegale e da smantellare incondizionatamente, è ciò che fa da contesto al genocidio, che genocidio è, nonostante il negazionismo di una parte consistente dei media e della politica occidentale. Israele si è macchiato di tre degli atti che costituiscono genocidio, come descritti nella Convenzione del 1948: uccisione di membri del gruppo, inflizione di gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo e deliberata imposizione di condizioni di vita, volte a provocare la distruzione fisica del gruppo, in tutto o in parte, in quanto tale. Bisogna smettere di trattare quella a Gaza come una guerra. L’obiettivo di una guerra è sconfiggere militarmente il nemico. Distruggere è l’obiettivo del genocidio le cui vittime sono, diffusamente e precisamente, i civili».
In particolare, nel suo ultimo rapporto “il genocidio come distruzione coloniale”, presentato lo scorso ottobre all’Assemblea Generale dell’ONU, la relatrice italiana manifesta la convinzione che «ogni processo di colonialismo di insediamento porta con sé un intento genocidario, un seme distruttivo piantato in Palestina dai primi insediamenti israeliani attraverso massacri ed espulsioni ed attualmente in corso a Gaza».
«IL GENOCIDIO è un crimine diverso dallo STERMINIO. Si può avere genocidio anche senza uccidere nessuno: quattro su cinque atti di genocidio previsti dalla Convenzione non prevedono l’uccisione dei membri del gruppo», scrive Francesca Albanese.
La relatrice parla inoltre anche del fallimento della società occidentale, tanto inerte rispetto al tentativo di fare in modo che il crimine di genocidio sia punito con una giusta pena, quanto inerte rispetto alle azioni di prevenzione.
Per non parlare del fallimento dell’Italia che, stante la conformazione – dettata dalla Costituzione più bella del mondo – del Paese a forma di stivale al diritto internazionale, si affida alle recenti parole del Ministro Tajani nel considerare il genocidio un argomento di dibattito personale, sviandone la definizione legale e facendo da contraltare rispetto alla voce della società civile italiana che, in larga maggioranza, da oltre un anno, condanna il genocidio a Gaza, nonostante le repressioni violente – come quella subita dagli studenti di Pisa lo scorso 22 febbraio 2024 – compiute dalle forze dell’ordine, per ordine dei vertici del dicastero degli affari interni.
Nemmeno il mandato di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità, che la CORTE PENALE INTERNAZIONALE (Cpi) ha emesso, a fine novembre 2024, per il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, è bastato a smuovere gli animi della classe dirigente della culla della società occidentale.
Persino MOSHE YALOON, l’ex Ministro della Difesa israeliana ed ex capo di stato maggiore dell’esercito, lo scorso 30 novembre 2024, durante un’intervista giornalistica, ha parlato di «pulizia etnica» nella Striscia di Gaza.
Nella medesima intervista, l’ex Ministro ha inoltre respinto la definizione dell’Idf come «esercito più morale del mondo» a causa «dell’interferenza dei politici, che stanno corrompendo l’esercito».
Al coro delle voci che denunciano il genocidio nella Striscia di Gaza, messo in atto dal governo Netanyahu, si è aggiunta anche quella dell’accademico WILLIAM SCHABAS, tra le più autorevoli di livello internazionale sul tema del genocidio e della pena di morte. Giurista ed attivista impegnato, nonché membro di diverse organizzazioni internazionali, nate per la difesa dei diritti umani in tutto il mondo, Schabas ha svolto un ruolo fondamentale nella creazione della Corte Penale internazionale.
Risale invece allo scorso 5 dicembre 2024 la prima pubblicazione, da parte di una delle più importanti organizzazioni non governative, internazionali, nella fattispecie AMNESTY INTERNATIONAL, impegnate da anni nella lotta e nella difesa dei diritti umani nel mondo, di un rapporto di ben 300 pagine, dal titolo “Ti senti come se fossi un subumano: il genocidio di Israele contro la popolazione palestinese a Gaza” in cui, attraverso approfondite indagini, condotte sia sul campo che da remoto, vengono messe a nudo prove di genocidio a Gaza, compiute dall’Idf, dal 7 Ottobre 2023 fino allo scorso luglio 2024.
«Mese dopo mese, Israele ha trattato i palestinesi di Gaza come un gruppo di subumani, indegni del rispetto dei diritti umani e della dignità, dimostrando la sua intenzione di distruggerli fisicamente», ha dichiarato nella presentazione del rapporto la segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard.
Il rapporto descrive nel dettaglio gli ingenti DANNI inflitti a Gaza, per interi quartieri, luogo di culto, scuole, ospedali, infrastrutture vitali, terreni agricoli e siti culturali, completamente rasi al suolo.
Il rapporto pone l’accento anche sui numeri delle MIGLIAIA DI VITTIME a Gaza. Senza contare le perdite umane dovute alla messa fuori uso del sistema sanitario nazionale, fino allo scorso luglio 2024 si contavano circa 42.000 morti, di cui circa 13.300 bambini e circa 97.000 feriti. Ad oggi, i numeri sono terribilmente più alti!
Di numeri si parla anche per lo SFOLLAMENTO FORZATO – trappole di morte – di circa 2,2 milioni di abitanti di Gaza, numero che rappresenta circa il 90% circa della popolazione dell’intera Striscia, costretti a vivere in condizioni che espongono ad una morte lenta e calcolata.
In ultimo, nel rapporto si cita l’OSTACOLO AGLI AIUTI UMANITARI ed il collasso del sistema energetico, idrico e sanitario, dovuti ad attacchi mirati, indirizzati a convogli umanitari ed infrastrutture vitali.
Richard Peeperkorn, rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per i territori palestinesi occupati, ha sottolineato che «circa 12.000 pazienti in tutta Gaza hanno ancora bisogno di un’evacuazione medica». Tra loro ci sono almeno 2.500 bambini che, secondo l’UNICEF, devono essere trasportati immediatamente fuori dalla Striscia e per il cui trasporto non si accettano accompagnatori.
Il rapporto, nel suo intento di denuncia, fa leva anche su 102 dichiarazioni genocidarie, fatte da esponenti di governo, tra cui spiccano simbolicamente, per particolare cinismo, quella dell’ex Ministro Gallant: «Stiamo combattendo contro animali umani ed agiamo di conseguenza. Ho ordinato un assedio totale sulla Striscia di Gaza. Non ci saranno elettricità, cibo, carburante ed acqua. E’ tutto chiuso!».
La segretaria Camallard, durante la presentazione del rapporto, ha anche fatto leva su una questione molto importante: «Israele ha ripetutamente dichiarato che le sue azioni a Gaza sono legittime e possono essere giustificate dall’obiettivo militare di sradicare Hamas, ma l’intento genocida può coesistere con obiettivi militari e non necessita di essere l’unico intento di Israele».
«I nostri risultati schiaccianti devono servire da campanello d’allarme per la comunità internazionale:
questo è un genocidio che deve finire adesso», così conclude la segretaria Camallard.
Secondo la giurisprudenza internazionale, perché venga commesso genocidio, non è necessario che gli autori riescano a distruggere, in tutto o in parte, un gruppo protetto, ma è sufficiente la sola commissione di atti vietati, con l’intento di distruggere quel gruppo.
In ultimo, Amnesty International rinnova il suo appello al Consiglio di sicurezza dell’Onu, affinché imponga un embargo completo sulle armi ad Israele, Hamas e ad altri gruppi armati che operano a Gaza, anche in considerazione del fatto che il conflitto intensificatosi a Gaza da ottobre 2023 non ha eguali per rapidità ed intensità, se paragonato a tutti quelli scoppiati nel XXI secolo.
Secondo Amnesty, il governo Netanyahu ha deliberatamente cercato di distruggere la popolazione palestinese, colpendo infrastrutture vitali per la popolazione civile ed impedendo gli aiuti umanitari.
Queste le conclusioni del rapporto che, oltre che suscitare prevedibili critiche – «Falso e pieno menzogne» – da parte di Israele, col sostegno di Washington di «accuse infondate», ha causato un vero e proprio smottamento all’interno della stessa organizzazione, cui hanno fatto seguito le dimissioni del Presidente di Amnesty Israele e di due membri palestinesi.
Al coro delle ONG impegnate nella difesa e salvaguardia dei diritti umani nel mondo, che accusano e denunciano, pubblicamente e formalmente, i crimini di guerra commissionati all’Idf dal governo israeliano – fornendo prove evidenti di pulizia etnica e genocidio a Gaza – lo scorso 19 dicembre 2024, si sono aggiunte anche altre due organizzazioni, quali MEDICI SENZA FRONTIERE (MSF), attraverso la pubblicazione del rapporto “Gaza è una trappola mortale” e HUMAN RIGHTS WATCH (HRW), attraverso la pubblicazione del rapporto “Israel’s Crime of Extermination, Acts of Genocide in Gaza”.
Nel suo rapporto, MEDICI SENZA FRONTIERE denuncia principalmente lo smantellamento del sistema sanitario ed altre infrastrutture vitali, sottoponendo all’attenzione della comunità internazionale il fatto che il soffocante assedio e la negazione sistematica dell’assistenza umanitaria stanno distruggendo la vita a Gaza.
Il numero dei morti legati alla guerra nella Striscia è, con buona probabilità, molto più alto delle 45.000 vittime stimate dalle autorità palestinesi, a causa dell’impatto sulla vita dei palestinesi del collasso del sistema sanitario, delle epidemie e dell’accesso fortemente limitato ad acqua, cibo e rifugi.
Attualmente, circa 16 ospedali – praticamente meno della metà dei 36 ospedali presenti nella Striscia prima del 7 ottobre 2023 – sono parzialmente funzionanti.
Oltre alle amputazioni che causano disabilità, alle infezioni cutanee ed alle infezioni alle vie respiratorie, sono schiaccianti anche le ferite mentali dei palestinesi.
Le strutture supportate da MSF hanno effettuato circa 27.500 visite a feriti di guerra e circa 7.500 interventi chirurgici.
Dalla chiusura del valico di Rafah da Maggio 2024 a Settembre, sono soltanto 229 i pazienti palestinesi che hanno ottenuto l’autorizzazione da parte delle autorità israeliane all’evacuazione: circa l’1,6 % del totale dei richiedenti e bisognosi di cure.
Nel mese di ottobre 2024, nella Striscia sono entrati, di media giornaliera, soltanto 37 camion di aiuti sanitari; cifra molto al di sotto della media giornaliera di 500 camion che entravano prima del 7 ottobre.
D’altra parte, Israele ha deciso di mettere al bando l’UNRWA, il principale fornitore di aiuti, assistenza sanitaria e di altri servizi vitali per gli abitanti della Striscia, rendendo impossibile l’accesso a carburante, acqua, cibo e farmaci salvavita.
Inoltre, MSF sottolinea il fatto che, se anche il conflisse cessasse oggi, i traumi fisici e mentali, causati dall’estrema violenza degli attacchi, dalle perdite di familiari e proprie abitazioni, dai ripetuti spostamenti forzati e dalle condizioni di vita disumane, avrebbero ripercussioni a vita su intere generazioni di palestinesi.
L’organizzazione HUMAN RIGHTS WATCH, nelle accuse e denunce di pulizia etnica e genocidio, nella costruzione del suo rapporto, si è concentrata invece su un aspetto molto specifico: la deliberata privazione di acqua a cui la popolazione di Gaza è stata sottoposta da parte del governo israeliano, che potrebbe aver provocato o potrebbe contribuire alla morte di migliaia di persone.
«Per più di un anno, il governo israeliano nega intenzionalmente ai palestinesi la quantità minima di acqua di cui hanno bisogno per sopravvivere», ha detto in un comunicato Tirana Hassan, la direttrice di HRW.
Nel rapporto si legge che la privazione dell’acqua «ha deliberatamente creato condizioni di vita calcolate per provocare la distruzione fisica dei palestinesi a Gaza, parziale o totale»: questo è uno dei requisiti del crimine di genocidio, per come esso è codificato dal diritto internazionale.
Secondo il rapporto di HRW, prima della guerra, i civili di Gaza avevano a disposizione di circa 83 litri d’acqua per persona al giorno, per bere, lavarsi e cucinare, a fronte dei 247 litri d’acqua di cui dispone giornalmente e mediamente un cittadino israeliano. Con l’inizio della guerra, la quantità di acqua a disposizione dei palestinesi è scesa a circa 2-9 litri al giorno; quantità ben al di sotto di quella minima di 50-100 litri, fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Tanto per avere un termine di paragone, per lavarsi le mani per 30 secondi, servono circa 2-3 litri di acqua.
Inoltre, sin dall’intensificarsi del conflitto, Israele ha tagliato i rifornimenti di carburante che servivano a tenere in funzione gli impianti di desalinizzazione dell’acqua marina; ha ridotto ai minimi l’acqua che arriva dagli acquedotti ed ha sistematicamente distrutto tutte le infrastrutture che servivano a portare l’acqua alla popolazione, rendendo difficile e a volte quasi impossibile il rifornimento.
HRW ha analizzato anche immagini satellitari che mostrano, per esempio, come i bulldozer dell’esercito israeliano abbiano distrutto i pannelli solari di un impianto di desalinizzazione, togliendogli l’energia. Le immagini mostrano anche come l’esercito abbia distrutto decine di riserve d’acqua e cisterne, in alcuni casi in maniera volontaria e non come risultato dei combattimenti.
Secondo HRW, la carenza d’acqua ed il consumo di acqua contaminata hanno provocato enormi problemi alla popolazione e «probabilmente» ucciso migliaia di persone. L’ONG riconosce che non è possibile ottenere dati precisi sul numero di morti causato dalla disidratazione, ma ha fatto interviste ed analisi che – sostiene – confermano questa ipotesi.
E’ di queste ore la notizia dell’uccisione di almeno 21 palestinesi, avvenuta nelle ultime 24 ore a cavallo tra il 24 ed il 25 dicembre 2024.
Di tregua neanche più si sente parlare!
A Gaza, oggi 25 dicembre 2024, dove non c’è più distinzione tra un essere umano, un edificio, un albero che non è certamente addobbato a festa come quelli di cui si colorano le “luminose” città delle civiltà non martoriate da guerra, in mezzo a distruzione, massacri e completa miseria, dove il colore, l’odore ed il sapore della polvere, della cenere e della morte hanno preso il sopravvento su tutto, non è certamente Natale e non è certamente un giorno di festa!
E non lo è da circa 78 anni di assedio, distruzione, morte e dolore, non soltanto per l’indifferenza di buona parte della società occidentale, ma anche per la complicità, da parte di quest’ultima, nel foraggiamento degli strumenti bellici che tale distruzione, devastazione, dolore e morte causano.
A Gaza, oggi, si muore di paura oltre che di attacchi armati!
A Gaza, oggi, i defunti non possono avere degna sepoltura, perché molti dei corpi martoriati vengono trattenuti in freezer dall’Idf e consegnati ai congiunti di appartenenza – se va bene – dopo moltissimo tempo, per «proteggere la pubblica sicurezza, prevenire disturbi, incitamento al terrore o atti di terrorismo».
Oggi, a Gaza, i funerali vengono celebrati di notte ed partecipanti non possono scattare foto e girare video!
La chiamano NECROPOLITICA, secondo la definizione di Achille Mbembe, il controllo totale dell’autorità sui vivi e sui morti, «l’esercizio della sovranità attraverso il controllo della mortalità e la definizione di vita»: è Israele che decide se, quando e dove seppellire i cadaveri che diventano l’ennesimo campo di battaglia, a disposizione dell’autorità in quanto «minaccia alla sicurezza».
A Gaza, oggi, anche l’affetto è passato in secondo piano, perché l’istinto della sopravvivenza ha preso il sopravvento su tutto!
Per riprendere le parole del poeta Rafeef Ziada, i palestinesi sono stati costretti per decenni a vivere sotto i «cieli d’acciaio» dello Stato coloniale di Israele, mentre continuano ad «insegnare la vita». La loro ininterrotta resistenza fa sì che il lato oscuro della modernità torni sempre a perseguitare un Occidente imbarazzato!