1.
Il nostro primo obiettivo è l’uscita dell’Italia dalla guerra, il cessate il fuoco, la ripresa del negoziato, impedire che il conflitto in Ucraina degeneri in un conflitto mondiale e addirittura nucleare.
Non invochiamo la vittoria di una delle due parti perché il prezzo per ottenerla è per noi inaccettabile. La vittoria di per sé non porta alla pace; è la riconciliazione che porta alla pace. La Russia si è assunta la gravissima responsabilità di violare con l’esercito i confini di un Paese sovrano. Ma con l’intervento della Nato l’intera Ucraina è stata distrutta e un intero popolo è stato sacrificato. È in corso un ecocidio con lo spargimento di bombe e veleni in ogni angolo di quel Paese. Nell’aria, nei fiumi, nelle acque del mare. Duecentocinquanta miliardi di dollari di armi spesi e ce ne vorranno mille per ricostruire. Le vittime ucraine e russe hanno superato il numero di cinquecentomila e il massacro sembra diventare infinito.
Per affermare questa visione abbiamo bisogno delle donne dato che la guerra è il lato estremo del potere patriarcale, lo strumento attraverso cui manifesta la sua forza di persuasione per giustificare morte, massacri e distruzioni. Le donne possono aiutarci a costruire un mondo senza guerra e senza armi, fuori dalla contrapposizione amico/nemico in cui la politica serva a garantire a tutti una condizione di vita dignitosa e non sia una parentesi tra una guerra e l’altra.
Il sogno dell’Europa unita, potenza mondiale pacifica e protagonista della costruzione di un mondo multipolare, più disarmato, più aperto alla collaborazione dei popoli, è stato calpestato; e gli interessi del nostro continente sono stati sacrificati a quelli
dell’amministrazione americana. Siamo diventati servitori di interessi altrui. La ripresa nel dopo Covid è svanita. Siamo sull’orlo di una grave crisi finanziaria e della recessione, che ingrandirà ancora di più le disuguaglianze e scaricherà i costi della guerra sulla maggioranza della popolazione che non le avrebbe mai intraprese.
Il negoziato, che in Ucraina è stato vietato per legge, dovrebbe ripartire dalle numerose proposte che ribadiscono la necessità di rispettare la sovranità , l’indipendenza e l’integrità territoriale di tutti i Paesi secondo le leggi internazionali, che a partire dalla carta dell’ONU sanciscono nel contempo l’autodeterminazione dei popoli. Siamo per il rispetto dei diritti delle minoranze, dell’autonomia del Donbass, della neutralità militare dell’Ucraina e della sicurezza reciproca e condivisa. Ma il negoziato comporta la non demonizzazione dell’avversario e l’offerta ad ognuno dei belligeranti di una dignitosa via di uscita.
Invece la demonizzazione, nonostante la maggioranza dell’opinione pubblica sia contraria all’invio di armi e invochi la pace, impera in Italia a causa di una informazione che assume le forme della propaganda e colpisce anche chi come noi invoca la fine del massacro, accusandoci di non essere dalla parte del più debole, degli aggrediti, delle vittime, solo perché non accettiamo la narrazione a senso unico che dipinge la Russia come un mostro, lo spoglia di ogni ragione, allo scopo di non lasciar intravedere altre soluzioni diverse dalla rovinosa e sconfitta di Putin, per lui inaccettabile.
Rifiutiamo l’idea di costituire un esercito europeo perchè provocherebbe un aumento delle spese militari di cui invochiamo la riduzione e, con una guerra in corso, non potrebbe far altro che sottomettersi al comando americano schierandosi nel conflitto globale contro la Cina e i paesi del Sud del mondo. L’Europa dovrebbe invece assumere una posizione di neutralità per favorire la nascita di una nuova fase di cooperazione tra pari, tra i popoli e le grandi potenze per affrontare insieme le grandi sfide epocali – clima, pandemie, disuguaglianze, migrazioni – che sono di fronte all’umanità.
Nell’ostinazione degli Stati Uniti a indebolire definitivamente la Russia intravediamo la trama di una strategia che punta alla sfida finale con la Cina, a costruire nuove barriere tra oriente e occidente, alla rivincita nei confronti degli Stati Uniti nella sfida economica sui mercati mondiali, dove l’influenza cinese e la potenza finanziaria di Pechino si sono enormemente estese, mettendo in discussione l’egemonia americana sull’economia e sul debito mondiale.
L’ONU è stata completamente messa fuori gioco ed è necessaria una sua riforma in modo da farne il perno di una azione per il disarmo progressivo, la ripresa degli accordi sulla riduzione degli arsenali nucleari, l’uscita dall’attuale sistema di dominio e di guerra.
L’Onu deve diventare l’istituzione cardine di un nuovo ordine mondiale, riformando il Consiglio di Sicurezza in modo che diventi effettivamente rappresentativo di gran parte dell’umanità.
2.
Solo i capitali possono circolare liberamente e senza frontiere che lo impediscano. Il debito mondiale ha oggi raggiunto il 336% nel rapporto col PIL del mondo. In massima parte ciò dipende dalla speculazione finanziaria, che domina le transazioni economiche mentre gli investimenti produttivi rappresentano una piccola percentuale del debito. La speculazione condiziona fortemente il prezzo non solo delle materie energetiche ma anche del cibo. La vita di centinaia di milioni di persone oggi dipende dalle scommesse sul futuro di titoli di carta. Allo stesso modo l’inflazione non dipende dalla domanda eccessiva di beni, né dall’aumento dei salari, ma dai profitti troppo elevati. Vogliamo che sia chiaramente segnato un confine nazionale ai movimenti di capitale e che gli investimenti pubblici non siano affidati al mercato senza controllo.
Il sistema monetario è un bene pubblico che non deve essere gestito dal mercato e dalle banche private. Occorre tornare alla separazione tra banche di deposito e banche d’affari, evitando che i risparmi dei cittadini possano essere coinvolti negli esiti della speculazione sui mercati. La Banca Centrale deve finanziare i Bilanci Pubblici nazionali e assistere gli Stati nella transizione alle energie pulite. Noi chiediamo che sia cancellato il debito degli Stati acquistato dalla Bce dall’inizio della pandemia, una proposta dell’allora presidente del Parlamento europeo David Sassoli, e che le risorse si indirizzino alla nuova occupazione. In Italia vogliamo che torni ad esistere una banca pubblica.
Dobbiamo sostenere il cambiamento con il salario minimo, con aumenti salariali generalizzati, con un reddito universale, l’abolizione di qualsiasi forma di precariato, la piena responsabilizzazione della lavoratrice e del lavoratore sul posto di lavoro che, come accade in Germania, devono assumere un potere codecisionale.
Lo Stato deve garantire a tutti l’occupazione e un’attività di studio e di riqualificazione permanente. La tassazione sui movimenti di capitali speculativi mordi e fuggi (Tobin tax) va impiegata per finanziare la riconversione della forza lavoro. Le tasse delle corporation estere devono essere pagate dove le società acquisiscono i loro ricavi. È necessario abolire i paradisi fiscali che esistono anche all’interno dell’eurozona e dell’Unione Europea e che impediscono di perseguire politiche solidali e progressive.
3.
Le migrazioni dipendono dalle guerre, dal cambiamento climatico e dal debito, tuttavia la difesa dei confini avviene oggi in una logica militare che trasforma chi richiede asilo politico o è costretto a migrare per ragioni climatiche ed economiche in un nemico da combattere. Come ci trovassimo di fronte ad una invasione armata. Ma non si possono mandare le Frecce Tricolori a bombardare i barchini o disseminare la penisola di centri di detenzione per rinchiudervi tutti quelli che sbarcano sulle nostre coste. Una persona inerme e in difficoltà non può essere considerata alla stregua di un invasore.
Non solo l’Europa ma l’intero mondo occidentale deve farsi carico delle migrazioni. È il momento di pagare gli interessi sulle risorse rapinate, sull’inquinamento e lo sfruttamento del fossile che produce alluvioni e disastri, di cancellare o ridurre i debiti dei paesi in via di sviluppo, di elaborare non piani di aiuto ma di investimenti nei luoghi dove l’ondata migratoria e più forte.
In particolare l’Europa deve agire per stabilire un rapporto di scambio fecondo con Tunisia, Algeria, Marocco e per fare in mondo che le milizie straniere abbandonino la Libia, lasciando il popolo di quel Paese libero di autodeterminarsi. E deve proporsi come il principale protagonista della costruzione di un accordo tra israeliani e palestinesi per porre fine a un conflitto che minaccia costantemente di estendersi al mondo intero.
La politica dell’accoglienza deve avvenire nel rispetto dei diritti umani, con una rete ordinata di assistenza, di selezione, di collaborazione lavorativa provvisoria e di studio per smistare dove ce n’è richiesta i più adatti e preparati. La legalità deve essere rispettata ma nessuno deve essere trattenuto per un periodo lunghissimo, come un delinquente, stipato in centri dove non ti chiedono di far niente, nemmeno di provvedere a te stesso
4.
Robot, automatismi e intelligenza artificiale stanno cambiando i rapporti di forza tra l’uomo e la macchina. Le tecnologie non sono di per sé un rischio per i lavoratori ma lo è l’accentramento in poche mani e in pochi paesi delle sorti dell’innovazione, dell’informazione e della cultura. L’Italia degli ultimi trenta anni ha virato purtroppo verso i bassi salari, la riduzione dei diritti dei lavoratori, l’economia della rendita e dei patrimoni finanziari e immobiliari, aumentando enormemente le diseguaglianze. A pagare sono state soprattutto le donne: le più povere, le più precarie, le più sottopagate, sulle cui spalle continua a pesare la morsa del lavoro gratuito di riproduzione, di cura e accudimento, colmando il vuoto di uno stato sociale che si è andato sempre più erodendo.
Il mito delle piccole e medie imprese o delle effimere start-up ha sostituito la necessità di uno Stato innovatore ed imprenditore. Sono state smantellate le grandi industrie a partecipazione statale con un impatto sulla formazione a tutti i livelli, dalla scuola, all’università, alla ricerca. I Paesi che cresceranno di più domani, Cina, India, Sud Corea per esempio, sono quelli che oggi si sono occupati di meglio rafforzare e diversificare il proprio sistema industriale, della ricerca e dell’innovazione. Un grande programma pubblico europeo per la transizione verde, la ristrutturazione e la riqualificazione degli edifici pubblici (scuole, ospedali, uffici) invertire questa tendenza.
Nel nostro paese il taglio alle politiche di formazione avvenuto dal 2008 in poi ha prodotto un calo del 10% degli immatricolati universitari, tanto che siamo all’ultimo posto in Europa per percentuale di numero di laureate e laureati nella fascia d’età 25-34 anni (superati anche dalla Turchia), con un valore del 27% mentre la media UE è poco sotto il 40%. Ma, malgrado questa situazione disastrosa e preoccupante, pochissimi riescono a trovare un lavoro che sia adatto al grado d’istruzione acquisito e sono costretti a emigrare o a entrare in competizione per lavori precari di basso livello. Viviamo nel mito di un sistema meritocratico che, dice Joseph Stiglitz, fa sì che “Il 90% di quelli che nascono poveri, muoiono poveri, per quanto intelligenti e laboriosi possano essere, e il 90% di quelli che nascono ricchi muoiono ricchi, per quanto idioti o fannulloni possano essere. Da ciò si deduce che il merito non ha alcun valore”. Per invertire questa tendenza non ci si può affidare alla logica di mercato che genera crescenti disuguaglianze con i giovani e le giovani che emigrano e le risorse finanziarie che viaggiano, sia in Italia che in Europa, dalle zone più deboli (il Sud) a quelle più forti (il Nord). L’istruzione non produce più la crescita economica, sociale e civile del suo territorio.
L’Europa che vogliamo ha bisogno della particolarità e della diversità di ciascuno dei suoi territori dal nord al sud. E in ciascuno di questi territori ha bisogno dei giovani e delle giovani che aprano la strada al futuro, del patrimonio delle donne che rappresentano un’enorme potenzialità per un mondo in cui la cura dell’altro sia un valore, e costruire ponti e non muri sia una risorsa. Perciò vogliamo un’Europa che sia un insieme di comunità pacifiche, ecosostenibili e aperte al mondo, e che si opponga al progetto di una Terra Armata. Un’Europa che non riduca il mondo alla contrapposizione tra due blocchi, ma riconosca la necessità di ristabilire rapporti di collaborazione non solo con la Russia, ma con la Cina, con l’India, con i Paesi che compongono l’arcipelago dei Brics. Un’Europa che trovi un suo ruolo nel nuovo mondo multipolare che si sta formando. Per quanto ci riguarda siamo per il dialogo con tutti e per il rispetto di tutti, non abbiamo la pretesa di imporre con la forza il nostro modo di vivere, i nostri valori e la nostra idea di democrazia. E sopra ogni cosa vogliamo la pace.