CADUTI SUL LAVORO: GUERRA SENZA FINE

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Gli ultimi caduti di una guerra senza fine, quella delle morti sul lavoro.

Cinque. Cinque tra operai e autotrasportatori hanno perso la vita mentre svolgevano il proprio lavoro. Cinque vite spezzate in un istante, nell’esplosione di uno stabilimento ENI a Calenzano, comune della provincia di Firenze. Non si tratta di una tragica fatalità: quando si muore sul lavoro, significa che qualcosa è andato storto nella catena di sicurezza, che i controlli e le precauzioni non hanno funzionato come avrebbero dovuto.

Da tempo, in quello stabilimento ENI, si segnalavano problemi. Reclami, lamentele, lettere dettagliate da parte degli operai. Tutto inutile. Anche chi aveva denunciato la pericolosità della situazione ha perso la vita nell’esplosione. Tra loro c’era Vincenzo Martinelli, che aveva chiesto un confronto con i responsabili della sicurezza dopo un episodio di gravi ritardi nella gestione del carico di benzina. La sua voce, come quella di altri, è rimasta inascoltata.

Oggi, queste cinque persone non ci sono più. E ora inizia la caccia al colpevole: chi ha mancato di rispetto alla vita di questi lavoratori? Perché prima di essere un numero, erano persone con nomi, storie, famiglie. Famiglie che ora sono distrutte, in attesa di risposte e giustizia. L’esplosione ha causato anche 26 feriti, di cui due in condizioni molto gravi. Un bilancio drammatico, in un solo giorno.

La Procura di Prato ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo plurimo. L’obiettivo è capire cosa abbia innescato l’esplosione e individuare le responsabilità. Ma queste cinque vittime si sommano a un numero che continua a crescere, mese dopo mese, anno dopo anno. Solo nell’ultimo anno, in Italia, si sono registrate 776 morti sul lavoro: 567 durante l’esercizio delle loro mansioni e 209 nel tragitto casa-lavoro. Una media di 86 decessi al mese.

Non è un episodio isolato. Nell’aprile 2024, un’altra tragedia aveva sconvolto il paese: sette persone persero la vita in una centrale Enel Green Power a Bargi. Anche in quel caso, l’inchiesta rivelò condizioni di lavoro estreme e contratti al minimo sindacale gestiti da imprese appaltanti. Nonostante le dichiarazioni politiche e le promesse di riforme, il problema resta irrisolto. La guerra delle morti sul lavoro continua.

Si parla oggi di introdurre un nuovo reato, “omicidio sul lavoro”, tra le norme sulla sicurezza. Il viceministro Francesco Paolo Sisto ha annunciato la necessità di misure più severe. Ma mentre si attende che le norme si traducano in fatti concreti, altre vite rischiano di essere spezzate.

Questa guerra senza volto non si ferma. Chi paga il prezzo più alto sono sempre i lavoratori: quelli che affrontano ogni giorno condizioni difficili, contratti precari e la mancanza di tutele adeguate. Per loro, la speranza è che tragedie come quella di Calenzano non si ripetano mai più. Ma finché non si interviene con azioni decisive, il rischio rimane una costante quotidiana.

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